Pubblicato da Alessandro Violante il giugno 2, 2013
Se, nell’immaginario collettivo, la musica black metal si è sempre retta su un ideale di intransigenza e di chiusura rispetto al crossover dei generi, questo non è sempre vero, e non è neppure ben chiaro se concettualmente questo principio fosse stato pensato in questi termini. Premettendo che nulla è certo, esiste una probabilità che gli Aborym, uno dei progetti più sperimentali di BM, un progetto tutto italiano fondato da Malfeitor Fabban, sarebbero piaciuti al Principe della notte a.k.a. Euronymous, ex-leader dei Mayhem e fondatore di quello che fu l’Inner Circle. Rimando a una personale ricerca dei lettori l’acquisizione di ulteriori informazioni in merito. Quindi potreste chiedervi perchè stiamo parlando in un disco metal e la risposta sarebbe che non lo è nella sua totalità, anche se la base di partenza è sostanzialmente quella. L’avventura dei nostri inizia nei primi anni ’90 e trova una sua concretizzazione vera e propria con il full length Kali yuga bizarre, questo è il loro sesto disco. L’intento del frontman (e non solo, considerando che tra i nomi alla batteria c’è lo storico Bard “Faust” Eithun, ex-Emperor), è quello di ripensare la formula di un genere per definizione chiuso verso sè stesso manipolandolo tramite la musica elettronica di varia natura, dall’IDM a certe influssioni vagamente harsh (uno degli ex membri del progetto, Nysrok Infernalien, ha fondato gli Alien Vampires, dediti all’harsh), e in generale facendo largo uso di alcuni principi dell’EDM. L’evoluzione della band l’ha portata a muoversi in una direzione sempre più distante dal genere madre, primariamente operando una fusione tra i due mondi musicali (soprattutto nei primi dischi), per poi arrivare, con il suddetto album, a realizzare una particolare forma di crossover dove i due generi principali vengono intrecciati tra loro ma non plasmano qualcosa di realmente ibrido, preferendo al contrario sviluppare un cut-up che insieme dia l’idea all’ascoltatore che il tutto non debba suonare omogeneo. Gli influssi elettronici rimangono quelli che sono così come le sfuriate BM sono quello che sarebbero in una qualsiasi altra realtà. L’opener Irreversible crisis è costruita come un veloce brano BM con alcune aperture di elettronica più oscura che tuttavia rimangono lì, confinate nella loro area, pur risultanto piacevoli e questo è un pò il discorso che vale per tutti i brani successivi, da quelli più marcatamente BM-oriented a quelli che invece si poggiano maggiormente sull’elettronica e, talvolta, sulle clean vocals. Dall’ascolto emergono principalmente due cose: da un lato il qui presente non è un disco BM in senso stretto e in quanto tale verrà osteggiato dalla critica ufficiale ma soprattutto non è ben catalogabile all’interno di un genere, dall’altro gli esperimenti elettronici qui presenti rimangono qualitativamente di basso livello, molto raw e inseriti piuttosto come tasselli all’interno di puzzle già precompilati. Tuttavia il riferimento ad una etica raw non sta ad indicare che con suoni poveri non sia possibile ottenere risultati molto superiori a questo. Dipende dall’ottica con cui lo si analizza: se siete dei fanatici del BM lo troverete un esperimento di alto livello (seppur lontano dal vostro concetto del genere), ma se siete dei fanatici della sperimentazione elettronica e delle sonorità industriali potreste trovarlo non particolarmente all’altezza rispetto a molte altre produzioni dello stesso tipo e dello stesso periodo.
Label: Agonia records
Voto: 6,5/10