Pubblicato da Alessandro Violante il maggio 31, 2013
Giovanni Rossi, scrittore, recensore, esperto di musica industriale e alternativa, di recente ha pubblicato il suo secondo, acclamato, libro su uno dei protagonisti della scena electro(industrial)/alt(rock) Trent Reznor, il deus ex machina della creatura Nine Inch Nails, ma è anche l’autore del libro manifesto Industrial [r]evolution che ha avuto l’onere e l’onore di portare “alla ribalta” il discorso sulla musica industriale, così spesso confusa e dimenticata, ma è anche scrittore per la rivista Ritual, che assolve al compito di rappresentare, su supporto cartaceo, il suddetto particolare scorcio di mondo. Di questo e altro parliamo con il diretto interessato.
Buongiorno Giovanni, ti ringrazio per il tempo che stai concedendo a me e soprattutto ai lettori di FLUX. Illustra il processo che ti ha portato a scrivere i tuoi due libri, Industrial [r]evolution e il più recente Niente mi può fermare. In che misura pensi che queste due enciclopedie, se mi passi il termine, possano trovare interesse presso il non avvezzo al genere?
In entrambi i casi ho cercato di far parlare il più possibile i protagonisti dei miei libri, in Industrial [r]Evolution con circa duecento interviste dirette ai protagonisti di questa scena, in Nine Inch Nails – Niente Mi Può Fermare lasciando il più possibile la parola a Reznor. Visto che Reznor non è facilmente accessibile per i giornalisti (per usare un eufemismo), ho setacciato tutto il materiale presente sulla sua vita: interviste, articoli di giornale, fanzine, recensioni ed interviste inedite a suoi collaboratori . La caratteristica positiva che è stata riconosciuta a questi libri da parte di molti lettori è che alla fine, anche se non ti interessa niente di musica o di Nine Inch Nails, puoi leggere le storie da un punto di vista biografico, andando a scoprire le vicende umane e musicali come se si trattasse di un romanzo. E ti assicuro che di materiale interessante ce n’è tanto anche per il neofita. Preferisco che siano i protagonisti a raccontarti la loro storia e quella della loro musica: difficile poi non appassionarsi!
Parla del tuo ruolo all’interno di una rivista come Ritual e della sua mission. Pensi che rappresenti un punto di riferimento per gli appassionati di musica industriale così come di quella elettronica e metal? In che misura questi generi così diversi riescono a convivere?
Con Ritual collaboro da diversi anni e posso dirti che la sua impostazione è molto semplice e chiara: cercare di fare un prodotto di qualità, non omologato alle mode del momento, approfondendo gli argomenti con la serietà e la competenza delle tante persone che ci lavorano. Oggi non sono tante le vetrine per la musica industriale o per quella elettronica, basta andare in edicola per rendersene conto. L’edicola è difficile, selettiva e con la concorrenza del web, sempre più a rischio. Ma Ritual resiste e con onore. Quanto alla convivenza tra metal ed elettronica, io ho sempre ascoltato molto entrambi i generi e trovo che soprattutto negli ultimi anni abbiano sviluppato numerosi punti di contatto, contaminazioni, crossover. Anche se non sempre queste commistioni soddisfano tutti i fan, penso che i punti nodali restino sempre la genuinità dell’ispirazione ed il valore di quanto si compone.
Industrial [r]evolution si pone come una pietra miliare nonché unica testimonianza cartacea (presente) della musica industriale in un paese, come l’Italia, in cui lo sviluppo di questa musica avviene in modo meno incisivo all’interno del panorama musicale. Dalla sua lettura mi è sembrato che il tuo approccio sia più orientato verso due correnti: quella delle origini e quella più legata alla musica statunitense. Me lo confermi e mi spieghi il perché?
Scendere nel dettaglio della musica industriale con un approccio completista avrebbe probabilmente richiesto tre volumi e non uno. Io sono molto legato alle origini ed alle deviazioni più bastarde, quelle metal in stile Wax Trax! tanto per fare un esempio, così ho scelto, forse anche inconsciamente man mano che il lavoro procedeva, di privilegiare quei due filoni. Mi fa piacere se dal libro, nonostante abbia cercato di mantenere la massima oggettività, traspare questa tendenza. In Industrial [r]Evolution c’è però tanto anche di altro, soprattutto personaggi che erano ormai smarriti o rimasti vivi a livello di culto e che ho cercato in tutti i modi di coinvolgere.
Ho notato che la maggior parte delle personalità italiane più legate alla musica industriale con cui ho parlato hanno avuto un passato nel rock e soprattutto nel metal. Ti chiedo, pertanto, se vale lo stesso discorso anche per te (e se sì, ti chiedo di spiegarmi in che modo si è manifestato il tuo passaggio), e, in entrambi i casi, secondo te quale possa essere la relazione tra questi due universi musicali.
Ebbene sì, anche io ho un passato rock e metal, in cui AC/DC, Pink Floyd e Metallica se la giocavano quasi alla pari. Sono gli anni in cui definisci i tuoi gusti e di lì a poco ho capito che la musica industriale sarebbe stata una costante della mia passione per la musica. Posso dirti che anche tanti dei protagonisti di Industrial [r]Evolution hanno un passato su altre sponde. Maurizio Bianchi, per citarne uno, viene dal punk!
Senti di aver tralasciato qualcosa nel tuo primo libro? Cosa ne pensi della musica europea? Faccio riferimento a generi come l’electro industrial, il dark electro, l’harsh e tutto quello che, nel passato e nel presente, l’Europa ha prodotto? Te lo chiedo perché noto che spesso, nel tuo sito, parli principalmente di act statunitensi.
Parlando di Europa in Industrial [r]Evolution passo in rassegna anche EBM, scena francese, gruppi spagnoli, belgi, slavi ed ovviamente l’Italia. Come ti dicevo prima, sapendo di non poter mantenere un approccio in stile ‘Bibbia dell’Industrial’, sapevo che ci sarebbe stato molto altro di cui parlare che non sarebbe entrato nel libro; anche per questo con Tsunami Edizioni (l’editore del libro) è nata l’idea di un blog (http://industrialrevolution-gr.blogspot.it) in cui riversare periodicamente il materiale che non è entrato nel libro. Ed è tanto! Riguardo alle scene che citi, penso che oggi stiano passando un momento molto difficile, causato sia dalla crisi del mercato discografico in generale, sia dal dilagare di un do it yourself che a volte appiattisce molto la qualità.
Qual’è la tua opinione sulla macchina del music business industriale e post-industriale? Che ruolo secondo te hanno oggi label come la Metropolis Records, la Out of line, la Alfa matrix così come la Ant zen, la Hands, etc… all’interno del mercato musicale? Vedi di buon grado il passaggio di alcuni importanti act come Skinny Puppy e Vomito Negro nelle fila della Metropolis? Si vocifera che i The Klinik saranno i prossimi…
Conosco personalmente alcuni degli ultimi act di Metropolis e penso sia un’etichetta che si sta dando molto da fare puntando sia su nomi altisonanti che su nuove leve. Purtroppo il mercato è sempre più selettivo ed anche ad act blasonati come quelli che citi tu capita di prendere delle sonore cantonate. Se fortunatamente il cuore pulsante della musica industriale resta ancorato all’underground e quindi lontano dalle perversioni del music business, purtroppo se vuoi vivere della tua musica devi per forza capire come funziona il meccanismo, e di musica industriale non si vive (in senso economico). Forse anche per questo è rimasta un’isola più felice di tante altre, dove ancora regnano passione e genuinità. Su Skinny Puppy non sono oggettivo: li adoro e penso che in questo periodo cEvin e Ogre farebbero bene con qualsiasi label.
Parliamo ora del tuo ultimo libro, dedicato ai Nine Inch Nails, che sono sempre più un act di culto nell’immaginario comune. Che ruolo ha avuto la figura di Trent Reznor nella tua carriera da scrittore / ascoltatore di questa musica? In che modo pensi che la sua musica possa essere imbrigliata all’interno di uno o più generi? Rappresenta ancora oggi, all’alba del 2013, la musica industriale (o una sua parte)?
Reznor non si concepisce come artista industriale, e tale non è se consideriamo il termine nella sua accezione originaria. Ma d’altro canto, se si vogliono utilizzare le già troppe etichette esistenti senza crearne di nuove, mi va anche bene definirlo così. Altrimenti possiamo essere più precisi: altrockambindustrelectrometal! Reznor è un artista completo, visionario, caparbio, egocentrico, maniacale, indefinibile, coraggioso e molto altro. Per uno che ama scrivere come me era il massimo innamorarsi di un personaggio così particolare, che ha riscritto le regole della musica moderna più volte, basti pensare al lavoro che ha fatto sulle colonne sonore, sull’uso del campionamento, sulle sperimentazioni in termini di indipendenza musicale dalle label. La sua apertura mentale e la sua curiosità mi hanno fatto scoprire tanti artisti, anche di generi diversi, che altrimenti non avrei mai avvicinato.
Mi sembra di capire che i pubblici europei e statunitensi siano molto diversi, sia quando si tratti di quali artisti ascoltare sia quando si tratti di classificare per generi, con l’importanza relativa che questo ha. Ho spesso sentito dire che negli anni ‘80/’90 act differenti tra loro come Front line assembly, Ministry, KMFDM, Skinny Puppy, NIN e altri venivano accomunati all’interno di una generica scena industriale, e che in parte lo sono tuttora. Dove sta, secondo te, il filo rosso tra queste realtà talvolta apparentemente molto diverse? Mi sembra di capire che invece gli europei siano più legati alle precisazioni in fatto di classificazioni di genere. Me lo confermi?
Noi europei risentiamo molto dell’approccio inglese in termini di critica musicale. Gli inglesi hanno la necessità fisica di catalogare ogni cosa. Diversamente impazziscono (leggete Nine Inch Nails – Niente Mi Può Fermare, al proposito!) Negli Stati Uniti è diverso. Quando è esploso il fenomeno dei gruppi che citi tu, gli americani non hanno fatto altro che prendere un’etichetta già esistente ed utilizzarla semplicemente perché secondo loro era quella che meglio si adattava. Poi possiamo disquisire per ore se tutto questo sia stato corretto o meno, fatto sta che se entravi in un negozio di dischi, da Milano a Los Angeles, e chiedevi qualche CD industrial, ti presentavano White Zombie e MInistry. Tutti quei gruppi intersecavano una matrice simile, composta da partiture metal su strumentazioni elettroniche, un genere a metà tra i due, estremo come il primo e sperimentale come il secondo, ma che ben poco avevano a che fare con ClockDVA o Throbbing Gristle.
In che misura l’industrial rock, così come l’industrial metal, possono venire rappresentati all’interno della musica industriale? C’è un confine da oltrepassare? E se sì, qual’è? Quando un gruppo rock o metal può definirsi all’interno di quel determinato genere? Spesso sembra che il termine sia usato a sproposito.
L’industrial metal è visto da molti come una contraddizione in termini, se parliamo di terminologie, poiché accomunerebbe approcci sostanzialmente molto diversi tra loro. Penso che il confine più macroscopico tra industrial e industrial metal/industrial rock risieda nell’impiego della forma-canzone, una struttura che nella musica industriale non è utilizzata, preferendo la totale libertà di forma, espressione, durata. Nulla a che vedere con strofa e ritornello.
Dopo la pubblicazione dell’ultimo lavoro di Reznor, a nome How to destroy angels, mi sono sforzato di comprendere quale potrebbe essere il prossimo passo dell’artista americano. Cosa pensi che potrebbe riservarci per il futuro? Come potrebbe suonare il nuovo album? Chi sono i NIN oggi?
Reznor è un artista imprevedibile. Ha appena annunciato l’arrivo di un nuovo album dei Nine Inch Nails quando invece sembrava che si sarebbe dovuto attendere tutto il 2014. La nuova formazione live dei NIN mi incuriosisce molto, ma non dimentichiamo che alla fine i NIN sono Trent Reznor. E sul nuovo disco me lo aspetto molto, molto cattivo.
In tempi recenti alcuni generi musicali estremi stanno prendendo piede nella nostra penisola. In che misura le correnti powernoise / rhythmic noise / dark ambient possono ritenersi legate alla musica industriale? Qual’è il legame con le forme più cacofoniche che questa musica ha prodotto? Mi vengono in mente act come Esplendor Geometrico ma anche Whitehouse. Qual è il tuo personale punto di vista?
A questa domanda dedico diversi capitoli di Industrial [r]Evolution perchè penso che le filiazioni che tu citi siano tra le più interessanti evoluzioni della musica industriale. Tutte portano dentro di sé caratteristiche importanti della musica industrial quali il concretismo, la valorizzazione del rumore, il ritorno alla natura e al field recording, la scomposizione del ritmo ed la dissezione della melodia. Personalmente ritengo che queste correnti siano delle porte aperte su altri mondi, ma che come in tutta la musica, ci sia tanto ciarpame anche da queste parti. Non bastano un quattro piste ed un mac per trasformarti in un artista industriale. Tanto per farti un esempio su come i generi si intersechino, Lustmord è nato in seno agli SPK, uno degli act industrial della primissima ora, poi con un percorso personalissimo è giunto ad inventare quello che è stato poi definito dark ambient. Lo stesso si potrebbe dire di un altro gigante come Graeme Revell.
Ti ringrazio per il tempo che ci hai concesso e ti saluto. Ciao Giovanni, saluta i lettori di FLUX!
Ciao e grazie per l’ospitalità: ascoltate tutto quello che potete e leggete, leggete, leggete! Keep on noisin’.