Pubblicato da Alessandro Violante il aprile 25, 2013
Una dichiarazione d’intenti e anche di più, molto di più. Una lunghissima introduzione a questo lavoro che segue il primo Electronic music means war to us del 2001 può essere letta a questo indirizzo. Questo di cui parliamo oggi è un lavoro che nasce da una esigenza, la stessa esigenza di 12 anni fa, ovvero quella di shockare l’ascoltatore e di portarlo a pensare alla sua condizione di uomo libero nei confronti di una società che tende a massificare le persone, a costruire idoli, a costruire le vite delle persone sulla base di uno o più modelli. Stevens ci avverte che La guerra non è finita. Quel che non si è concluso e che, probabilmente, difficilmente si concluderà è la guerra all’ingranaggio che regola lo status quo, il pensiero comune, il modo di vivere comune, laddove il problema è nella definizione di principi comuni a tutti, e in quanto tali giusti. Questo pensiero si articola come sempre in una lunga serie di brani, ben 18, frammenti di idee che diventano azioni in musica, musica che rappresenta al meglio quella parte di rhythmic noise che sperimenta nel crossover delle forme musicali, dal post-industrial al breakcore all’hardcore (o meglio alla speedcore e all’industrial hardcore), fino all’utilizzo sfrenato del sampling. Posto in questi termini la formula Hypnoskull 2013 potrebbe sembrare quanto di più astratta si possa pensare, al contrario la sensazione lungo tutto il disco è, per quanto il concetto sia relativo al genere proposto, che si possa parlare di caos controllato in un crescendo che inizialmente si assesta su episodi interessanti ma non particolarmente dirompenti seppur geniali per poi sfociare sempre di più verso i breaks e verso vocals disturbati (e disturbanti) e beat speedcore, senza mai però oltrepassare un certo numero di bpm. Per quanto si possa parlare di questo aspetto in un modo piuttosto marginale, è presente anche un certo senso della melodia, seppur notevolmente distorta e difficilmente comprensibile ad un primo ascolto, un ascolto difficile ma non impossibile. Si tratta di uno dei lavori più maturi, forse il più maturo, di Stevens, una personalità di primissimo piano all’interno di questa scena, che confeziona qui nell’anno corrente un lavoro che non deve e non vuole essere facilmente digerito ma che al contrario vuole farci riflettere sulla nostra condizione e quale miglior modo per farlo è quello di iperstimolare i nostri neuroni e i nostri padiglioni auricolari? Del resto i titoli dei brani parlano molt0 chiaro: al di fuori dei pattern di pregevole fattura, titoli come Verification of your fears fa riferimento alle paure che le persone provano nei confronti di una società che li assorbe e al cui procedimento di assorbimento acconsentono in quanto nutrono una paura di non riuscire a fare quel che è comunemente giusto, pena l’espulsione, pena l’essere dei reietti, che è qualcosa che non preoccupa di certo l’artista Stevens. Transactions è un altro brano di forte critica nei confronti del potere economico così come Intravenous preparation / Intravenous execution giudicano ad un primo livello la pena di morte mentre ad un secondo livello fanno riferimento all’esecuzione finale della mente, del pensiero libero del comune individuo portatore sano di proprie idee, di un proprio modo di pensare e di vivere la vita. Allo stesso modo Mediadeath (Face your) richiama il dibattito sulla spersonalizzazione e sulla morte mediale dell’individuo che viene pilotato (secondo una ottica Apocalittica) da quelli che Stevens definisce come chosen fews, i pochi prescelti per dettare il pensiero del vivere comune attraverso i media. Chiude Fear eats the soul, altro riferimento alla paura individuale di combattere un sistema che talvolta è una gabbia, laddove se esso imprigiona, in un modo ancora peggiore la paura mangia l’anima, distrugge la capacità di reagire. Ed è questo che Stevens vuole ottenere: reazione. Uno dei migliori lavori in ambito rhythmic noise di questo 2013.
Voto: ◆◆◆◆◆
Label: Ant-zen