Pubblicato da Alessandro Violante il giugno 29, 2016
Capita spesso, soprattutto nel nostro Paese (in Italia), di dover spiegare cosa sia la musica rhythmic industrial e perchè sia importante darle il giusto peso nella storia musicale cosiddetta industriale. E’ presto detto: esiste un legame piuttosto profondo tra la proposta dell’olandese Weltschmerz, già attivo con il progetto Mono-Amine, del cui debutto, The norwood scale, uscito l’8 giugno per Ant-Zen, parliamo in questa sede, e l’epoca storica in cui viviamo, la cosiddetta età postmoderna. La musica dell’Olandese, minimale, distorta e claustrofobica, esprime la spersonalizzazione dell’individuo postmoderno e l’alienazione che la genera o da cui è generata, ma è anche la fotografia di una particolare ampia area geografica in cui questa musica è nata e si è sviluppata, se si crede alla teoria secondo la quale ogni luogo ha la sua musica perchè essa è espressione di un particolare contesto sociale piuttosto che di un altro.
Joost fa sua una poetica del less is more che ha musicalmente trovato applicazione pratica nella corrente minimalista così come nel lavoro di pionieri come Esplendor Geométrico, Dive e Sonar e, artisticamente, nei primi anni di attività del videoartista coreano Nam June Paik, tra gli altri (si pensi a Zen for film del 1964, primo tra i FluxFilms). The norwood scale rappresenta un ritorno alle origini del genere: apparentemente semplice, qui dieci brani vengono costruiti con un set “limitato” di suoni, con il medesimo approccio di ricerca e con la medesima urgenza espressiva ascoltabile nei primissimi lavori di artisti storici come Imminent Starvation o Synapscape.
Nessun orpello che possa far disperdere la purezza del messaggio, ma un ricercato primitivismo che si esprime attraverso una continua ripetizione di ritmi, di loop che aquistano sempre più peso e valore, conditi da meste distorsioni, leitmotiv del genere. Il minimalismo espresso da Joost, la voluta produzione raw tipica di lavori storici come quelli del primo P-A-L, il ricorso ad una ruvidità d’altri tempi e ad una particolare crudezza sonora sono gli ingredienti principali di un lavoro la cui “semplicità” è pari solo alla forza dirompente del messaggio che esprime. E’ un suono che sembra fuoriuscire direttamente dalle viscere della terra. E’ la formica che emerge dal sottosuolo, una potente formica chiamata Ant-Zen, che si esprime qui tramite la musica dell’Olandese.
Il messaggio è la riflessione sul declino di una umanità che non riesce ad esprimere le sue piene potenzialità, come recitano le promo notes dell’album. Secondo le parole del musicista, la musica è il modo più potente di tradurre il pensiero profondo e l’esperienza in una forma che dia energia ed emozione specialmente quando suonata ad alto volume e dal vivo in un posto in cui si trovano persone mentalmente aperte. La sua è una riflessione che ci aiuta a capire cosa la propria musica voglia esprimere, una musica che va alle radici del genere e che ne evidenzia coraggiosamente i tratti.
Quello di Weltschmerz non è semplicemente un tributo all’old school, ma qualcosa di più. E’ un lavoro che risente delle espressioni industriali contemporanee, della techno industrial e dell’hardcore techno all’olandese, qui riscontrabile in certi beat dritti, veloci e leggiadri, che il Nostro si è portato dietro dal tipico suono di Mono-Amine, si pensi a Harsh reality per citarne il più rappresentativo. E’ un album che, più che adattare un genere nato negli anni ’90 ai giorni nostri, ci spiega quale legame storico, musicale ed espressivo leghi strettamente la storia del rhythmic industrial a quella della techno e stabilisce un ponte tra i due mondi, un legame che molti hanno già colto (Phase Fatale che inserisce il già citato P-A-L nei suoi mix, Blush Response nell’ottimo e recente ibrido Reshaper, sempre per la label di Stefan Alt), e che gli altri coglieranno ascoltando attentamente questo album.
Una ricetta semplice e genuina, a base di ritmi, distorsioni e di un pizzico di atmosfera orwelliana. Tutto qui, e se credete che questo non sia sufficiente, entrate nel balletto sciamanico per androidi dell’opener Dht, espaserata e tarantolata, in cui il ritmo si fa primordiale, post-industriale, deflagrante. Entrate nella dimensione spirituale di Catagen, nell’ibrido techno-ritmico di Blocking the conversion, avvincente, raw, dritto al punto, scevro da inutili estetismi e raffinatezze di matrice hipster che figurano in altri ben diversi contesti musicali. Non mancano classici episodi rhythm ‘n noise al retrogusto breakbeat come Manipulating the activity, che pagano un tributo ai maestri dell’Olandese, e sfuriate quasi militaresche come Shock follicle, un brano ruvido, puro, fisico, anche grazie all’apporto di una drum machine che richiama un uso del doppio pedale preso in prestito dall’universo metal.
The norwood scale è un punto di riferimento per chi vuole capire cosa sia questa musica nella sua forma più pura e primordiale, e ci presenta dieci brani accomunati da una significativa lunghezza, l’arma a doppio taglio di Joost, già presente nei suoi lavori come Mono-Amine, che esprimono una attitudine travolgente, la medesima urgenza espressiva che i suoi colleghi esprimevano più di vent’anni fa, con la medesima potenza dirompente. La sua inequivocabile attualità lo rende un lavoro imprescindibile, da scoprire, contemporaneo nel vero senso della parola, ed espressione in musica di una sottocultura che gode di una certa popolarità in ambito underground in Germania, che vale la pena di essere scoperta per via della sua genuinità. Se cercate un lavoro vecchia maniera ma che guarda fiero al futuro, Weltschmerz fa per voi. Aprite le vostre menti verso il nuovo, non ve ne pentirete.
Label: Ant-Zen
Voto: 8, 5