Pubblicato da Alessandro Violante il maggio 8, 2016
La prima volta che vidi gli Youth Code dal vivo compresi subito di trovarmi davanti ad un act poderoso, capace di rievocare lo spirito originario della musica EBM e, al contempo, di aprire verso nuove possibilità una sorta di electronic body music dall’animo profondamente hardcore punk. Il duo composto da Ryan George e da Sara Taylor incendiò le serate di Los Angeles (la stessa città da cui emersero gruppi come Social Distortion, T.S.O.L., Circle Jerks e Adolescents) con performance che attirarono da subito l’interesse di critica e pubblico. Già a partire dal 2012, i due misero in scena un EBM synth-industrial selvaggio e lo-fi con spirito DIY, pagando il loro tributo a gruppi pionieristici come Skinny Puppy e Front Line Assembly, riuscendo però a coniugare l’electro-industrial con la forte fisicità punk elettrica che scaturiva dagli spettacoli dei Nitzer Ebb negli anni Ottanta. Non è un caso che le prime esibizioni degli Youth Code abbiano avuto luogo proprio nello Show Cave, galleria d’arte e luogo per concerti gestita da Douglas McCarthy e da sua moglie.
Come un rasoio tagliente, il primo album omonimo del 2013 sintetizzava in chiave lo-fi lo spirito dei loro live con brani dall’impatto immediato (frutto di sperimentazioni in sede live) che suonavano molto più veri e sinceri di molti epigoni del genere, complice anche una certa strumentazione a base di sintetizzatori d’antan che ricreava un certo tipo di suono chiaramente riconoscibile per gli amanti di una certa EBM old school. Dimenticatevi i vari gruppi harsh EBM, aggrotech e legati ad altri sottogeneri plastificati da balera gotica. In questo senso, Sara ha fatto bene ad indossare delle magliette con la scritta “Death to false EBM”, tanto per mettere le cose bene in chiaro e marcare le differenze.
Con il loro nuovo album, Commitment to Complications, uscito l’8 aprile per la Dais Records, il duo fa il grande salto con un album prodotto da Rhys Fulber (Front Line Assembly), in cui si ricrea un suono Wax Trax!, con rimandi forti e decisi ai Ministry (periodo 1986-89), mantenendo un approccio ancora synth alla Twitch ma con la pesantezza di The Land of Rape and Honey. Ovviamente il tutto viene riletto con un’attitudine personale, oramai ben riconoscibile, che tira dritto senza guardare in faccia nessuno.
Sono pugni di pura EBM / HC quelli di Transitions, brano che apre il lavoro dopo l’evocativa intro cosmica di (Armed). La title track si avvale della collaborazione di Ben Falgoust dei Goatwhore, che qui dà man forte alla voce distorta di Sara Taylor, con un inferno cibernetico e distopico che sembra emergere dalle rovine di un Paese oramai al collasso. The Dust of Fallen Rome è senz’altro il brano più ispirato e a fuoco mai realizzato da YC, un po’ sulla scia di For I Am Cursed, presentata nel precedente EP, A Place to Stand, del 2014. È, essenzialmente, una canzone incentrata sul rialzarsi e sul ricominciare dalle proprie rovine. In un certo senso, è la loro Worlock.
L’album presenta anche due tracce uscite nel 2015 su 7”: Anagnorisis e Shift Of Dismay. La prima è uno stomper mid tempo da cui emergono bordate soniche di puro nichilismo: This is a trigger, this is despair, these eyes are poison, a sad state of affairs. La seconda presenta alla chitarra Todd Jones del gruppo grind / hardcore Nails ed è un altro episodio da moshpit selvaggio.
Non manca un sapiente uso del sampling, sulla scia di una tradizione di matrice early ed electro-industrial. Nel brano si può ascoltare un inquietante campionamento della voce del serial killer Tommy Lynn Sells, messo a morte con un’iniezione letale nel 2014: When you look at me, you look at hate … ’cause I don’t know what love is. All’inizio di Avengement, invece, sentiamo una registrazione tratta dall’interrogatorio per omicidio compiuto da Byron David Smith, successivamente condannato per eccesso di legittima difesa.
Lost at Sea conclude degnamente il tutto con un’immersione in acque oscure, catarsi elettronica da cui riemergere come una bestia ferita pronta a mordere ancora per difendere la sua vita. L’approccio al fulmicotone del duo lascia il segno, nel senso che dopo un loro concerto probabilmente vi troverete qualche bel livido. Gli Youth Code si confermano la realtà attualmente più interessante in campo EBM, capace di andare oltre il pubblico del genere, incarnando appieno lo spirito old school senza suonare meramente citazionisti. Sara e Ryan hanno costruito una via personale e hardcore all’electronic body music del 2016, con una forza ed un’abrasività che difficilmente troverete altrove, sia dal vivo che su disco.
Label: Dais Records
Voto: 10