La tv come medium creativo. Nam June Paik

Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 6, 2013

Nam-June-Paik-in-Italia-385x275Lo sciamano del video, il coreano Nam June Paik, è da sempre considerato come il pioniere della video art, colui che per primo fonda il linguaggio artistico che oggi più che mai, con qualche decennio di ritardo, sta interessando sempre più i nostri critici e le nostre istituzioni. Se non il primo, sicuramente è colui il quale, insieme ad Andy Warhol, studia il mezzo e lo rivoluziona, suo grande pregio è quello di rivestire un ruolo fondamentale lungo l’evoluzione del genere, potendo rivendicare alla sua figura la gran parte delle tendenze della video art attuale.

Comunque la si voglia intendere, i due grandi artisti che abbiamo nominato sono i grandi profeti del nuovo medium e questo prova che si tratta di un linguaggio artistico la cui arte non si esprime negli artisti a partire da sè stessa, ovvero, nessuno nasce videoartista, tutti i più grandi artisti che li seguono cominciano altrove il loro percorso. Questa è una delle numerose chiavi di volta della video art: essa non esprime l’arte del video. Andy Warhol, ad esempio, non inventa il termine del linguaggio ma comincia a sperimentare con il medium a partire dal percorso della pop art e della stampa, della serigrafia, del cinema sperimentale d’avanguardia e del cinema veritèo di quello che egli intende per esso.

Nam June Paik realizza il suo primo video, un documentario, ma la sua arte ha già un passato: la sua formazione è musicale e questo aspetto condiziona la video art per tutta la sua esistenza. L’artista coreano, che per primo chiama il suo lavoro video art, è un musicista intenzionato a sperimentare il suono in tutte le forme possibili, e lo fa inizialmente con Arnold Schoenberg, uno dei più importanti musicisti e teorici della musica del ‘900 appartenente alla corrente degli sperimentatori delle dissonanze e della musica elettronica. Questa esperienza, oltre a quella di ricerca presso la Sony in Giappone, è fondamentale per la sua formazione che si esplica, come primo step, nella sua adesione al movimento d’avanguardia neo dada Fluxus, fondato da George Maciunas negli anni ’60.

Nel contempo Paik prosegue la sua attività all’interno del gruppo di video art di documentazione, come viene definito nel gergo artistico, Guerrilla television, un gruppo di produzione e di documentazione di eventi legati alla ribellione nei confronti delle ingiustizie e nella messa in video degli eventi e della società. Il video di documentazione è, infatti, uno dei tre filoni principali della video art degli inizi, insieme al video metamediale e a quello sperimentale, secondo la definizione che ne dà la storica Yvonne Spielmann. Paik si avvale dell’invenzione della videocamera PortaPak della Sony e di quelle legate all’evoluzione del medium televisivo e inizia progressivamente a studiare l’immagine in quanto tale e, soprattutto, il suo rapporto con lo spazio e con il suono.

In questo senso Fluxus rappresenta per il coreano la piattaforma principale di sviluppo del suo concetto, in quanto esso esprime il concetto wagneriano di Gesamkunstwerk, di Opera d‘Arte Totale che poi diventa, passando dall’invenzione della video scultura, la video installazione. Durante questa esperienza Paik impara l’importanza del gesto come espressione di significato, del suono come possibile origine del segnale video e di spazio installativo. Il rapporto tra audio e video è uno dei concetti principali della video art in quanto una delle modalità di generazione del suono è il segnale acustico che nasce inizialmente all’interno della videocamera e che viene poi comunicato al monitor come medium prestabilito, e che successivamente viene sviluppato tramite il sintetizzatore brevettato da Paik & Abe.

Dopo l’esperienza documentaristica Paik comincia ad esplorare lo spazio e i suggerimenti del gruppo Fluxus fanno nascere in lui l’idea della video installazione che diventa realtà a Wuppertal nella sua prima mostra Exposition of music – Electronic television. Il medium televisivo è il totem del video, della sua arte, è il fulcro, è la performance che genera lo spazio intorno a sè, uno spazio che non prevede lo spettatore come parte attiva, uno spettatore che è chiamato a contemplare e a concepire un nuovo spazio, una Opera d’Arte Totale laddove la videocamera comunica con il monitor e genera un segnale audio e video. Questa rappresenta la filosofia del wagnerismo applicata alla contemporaneità.

Lo step successivo è lo studio del medium e delle sue possibilità, molte delle quali non sono ancora state comprese. E’ il 1969 e a New York, centro di eccellenza delle avanguardie degli anni ’60 e ’70, c’è chi pensa che sia necessario proporre al grande pubblico quello che sta succedendo con artisti come Paik, Wolf Vostell e altri. Questo evento si chiama Tv as a creative medium e costituisce il punto zero della video art che passa dall’essere un fenomeno di studio a una forma d’arte contemporanea. Questo studio del segnale e dell’estetica del medium comporta la loro introduzione all’interno della poetica del Fluxus e la fusione tra fisicità del monitor e volatilità del segnale applicata alla musica. Un segno di questo incontro è quello con la violinista, anch’ella appartenente al movimento, Charlotte Moorman. Il passaggio tra gli anni ’60 e ’70 porta alla consacrazione della video art a livello mondiale e al passaggio, da parte di Paik, alla seconda fase del suo operato artistico.

L’artista coreano passa dal video di documentazione a quello metamediale e lo fa in vari modi: uno dei suoi primi passi in questo mondo, che egli stesso plasma per sè e per gli altri, consiste nella creazione di video sculture che riprendono la lezione duchampiana dell’objet trouvée e che mirano a stabilire una osmosi tra i vari media, ovvero l’incontro tra il monitor, le radio et. al., un incontro mirato alla celebrazione di una nuova figura umana / robotica, mirato alla creazione dell’uomo multimediale che, qualche anno prima viene teorizzato dal sociologo Marshall McLuhan all’interno dei suoi scritti, primo tra tutti Gli strumenti del comunicare e che, cinematograficamente, viene ripreso da David Cronenberg in Videodrome del 1983. Un’altra strada altrettanto importante è quella della sperimentazione del segnale, andando a modificare, come un artista warholiano della Nuova Era dell’Immagine, ciò che è popolare come trasmissioni e spot televisivi.

In questo ambito la sua summa, nonchè summa della video art metamediale è Global groove del 1973. Questo lavoro è il punto di incontro di tante personalità, di tante culture, il punto massimo del duchampismo visivo, il segno del cambiamento, della contaminazione tra due mondi: quello reale e quello generato dai sintetizzatori, quello della vita e quello dello schermo. All’interno di questo video si incontrano personalità come William Burroughs e John Cage, personalità che, insieme a Paik, trovano questa strada come loro punto di arrivo. E questo lavoro è anche il punto intorno al quale artisti come Dara Birnbaum o la più recente Pipilotti Rist costruiscono il proprio successo. Come al solito, tutto inizia lontano, tutto inizia con Duchamp, così come in una partita a Monopoli si parte sempre e si torna sempre al Via!. I lavori successivi rappresentano una evoluzione ulteriore del discorso originario, ma che fondamentalmente non inventano molto più di quanto viene inventato fino al 1973.

Lavori come Good morning Mr.Orwell del 1984 o Tv Buddha del 1974 sono delle evoluzioni, da un lato del discorso del video sperimentale, dall’altro del dialogo tra Sacro e Profano, tra le culture ma soprattutto tra colui che guarda e quello che è guardato, tra le due parti di una comunicazione silenziosa, quasi spirituale, che generano intorno a sè lo spazio di una video installazione, che altro non è se non un microcosmo generato intorno ad un oggetto, o, in questo caso, a due oggetti comunicantiDi nuovo Duchamp, di nuovo la Ruota. Nam June Paik muore nel 2006 e lascia dietro di sè, dopo di sè, una eredità che è la storia della video art e il suo futuro. Paik è la Video Art.