Pubblicato da Davide Pappalardo il marzo 12, 2016
Nati come una one man band dedita ad un surf / garage dai connotati lo-fi, il progetto Tropical Horses si è poi evoluto verso territori più pop, ma anche “punk“, sviluppati tramite collaborazioni con band quali Princesse ed Albinos Congo (quest’ultimi compagni dei Nostri nella collaborazione Albinos Congo VS Tropical Horses – Double K.O del 2013) ed in EP indipendenti; ora i tempi sono maturi per il disco qui recensito, il primo album vero e proprio, Mirador, pubblicato in vinile dalle labels Anywave e Montagne Sacrèe Records.
Come anticipato, troviamo qui nove episodi sperimentali in cui industrial, psichedelica, noise, etnica e shoegaze trovano un bizzarro, ma fervido, connubio artistico, dai frutti più che positivi; l’influenza degli anni ’70 e ’60 più acidi e sperimentali è ben presente, ma è innegabile anche una certa atmosfera indefinibile data dall’unione di elementi incompatibili almeno sulla carta. E’ musica consigliata alle menti più curiose, in cui, però, non manca una certa ritmica diretta, che rende il tutto fruibile anche in modo fisico ed immediato, tra indie e musica elettronica oscura.
Si parte con Satanic prayers e con il suo drammatico rumore orchestrale, sul quale entra una pulsante linea di basso dal gusto anni ’70; s’instaura così un suono ipnotico giocato sul loop in cui i vocals, pesantemente filtrati, si aggiungono in un’atmosfera aliena e lisergica. Quel che se ne ottiene è una sorta di colonna sonora per un b-movie dell’epoca, in cui sopraggiungono anche cimbali ritmati e strali abissali; un’unione di elementi in cui la chitarra, così come una decisa drum machine in 4/4, riesce a trovare posto. Nella sezione finale il discorso si fa molto più ambient, salendo poi d’intensità in una grandiosa conclusione a base di una ritmica tempestante.
Dead gaze exorcism ci accoglie con una ritmica tribale e con chitarre da film pulp, con tanto di cantato a tema; inevitabile è il supporto dei fraseggi di basso, così come le taglienti esplosioni noise alla Health. Giochi indie ed electronica si uniscono, mentre la batteria si mantiene vivace ed incalzante; prosegue l’alternanza con asperità cosmiche, delineando un’atmosfera onirica ed oscura. Non mancano, però, grandiosità melodiche dal gusto epico, in un songwriting non convenzionale in cui elementi incompatibili sulla carta trovano perfetto incastro; un ben strutturato pastiche di breve durata.
Here comes your ghost ci mostra dei Primal Scream ancor più cosmici e sognanti, grazie alle sue tastiere d’organo e al suo andamento strisciante, in cui la voce si diletta in falsetti ricolmi di effetti; ancora una volta, il basso contribuisce alla base ritmica, mentre pause e pulsioni si alternano in un gioco di lasciate e di riprese. Delicate melodie ci accolgono con suoni di tastiera, cosi come con vorticanti linee cosmiche; il risultato è un’atmosfera misteriosa ma viva, non gelida, bensì piena di colori musicali.
Rivers of sadism si dispiega con i suoi toni da maestosa ambient, prima di darsi a rullanti shoegaze e ad echi evocativi, in un mantra quasi rituale, presto arricchito da vocals lascive; ancora una volta, domina un’atmosfera allucinata e sacrale ma mai troppo oscura, che fa pensare più al sogno lisergico ed oppiaceo. Riff distorti trovano poi posto in un bel movimento post punk che potrebbe riportarci alla mente i Joy Division di Atmosphere, come anche la psichedelica di fine anni ’60; pianoforti si uniscono, a seguire, in una cacofonia piacevole e serrata, completando il quadro in chiave decisamente più inquietante, con tanto di gorgoglii vocali.
Wild night ci sorprende con suoni rock anni ’60, ma pesantemente filtrati e distorti in un turbine noise dalla sensibilità acida; ritmiche tribali si uniscono al funk malevolo, regalandoci un’atmosfera unica, trademark dei Nostri. Un pastiche ben calibrato, in cui non mancano pause pulsanti con fraseggi ronzanti e ripetuti mantra vocali; sezioni jungle completano il quadro, dando luogo ad un brano che, in realtà, ne raccoglie al suo interno almeno altri tre, mutandoli ed intersecandoli a più riprese.
Depressed is only the beginning è il finale del disco, aperto da synth astrali e da una ritmica pulsante in cui una secca e minimale drum machine trova posto assieme ad inquietanti rumori cosmici e vari tipi di effetti; è un mantra sotteso che si arricchisce di strati cupi, portandoci “ipnoticamente” verso un etereo maestoso crescendo in cui tutto rimane controllato ed ammaliante. Tastiere minimali e vortici che richiamano le interferenze generate dai segnali radio completano il quadro, in un episodio in cui è l’elettronica a fare da padrona, tra sequenze e timbri in cui tastiere pesantemente filtrate ci regalano strali avvolgenti; a sorpresa, la conclusione consiste in un arioso strimpellio di chitarra che, con aria epica, segna il finale in un crescendo di batteria, caratterizzato poi da una liberatoria esplosione psichedelica.
Concludendo, Mirador di Tropical Horses è un disco articolato che ci offre una allucinata ed oscura atmosfera omnia, che però, più che un quadro gotico, sembra volerci offrire un bad trip da LSD trasposto in musica; movimenti debitori della musica anni ’60 vengono mescolati con la sensibilità distorta dello shoegaze, mentre intervengono tastiere e synth vorticanti dal gusto acido e cosmico. Viene evocata quella zona di mezzo nel suono sperimentale a metà tra Velvet Underground, Suicide, My Bloody Valentine e Primal Scream, in cui l’unica regola è l’inventiva nel creare suggestioni vivide; obiettivo centrato a pieno in questo album, consigliato ai cultori della psichedelica più oscura e caotica.
Label: Anywave / Montagne Sacrèe Records
Voto: 7, 5