Pubblicato da Alessandro Violante il settembre 22, 2015
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Quest’anno, per la prima volta, FLUX ha effettuato una trasferta al MUK.E, festival tenutosi ogni anno presso l’FZW di Dortmund, città piuttosto nota della Germania Ovest, per ascoltare vari aspetti della musica elettronica della nostra epoca, alcuni più legati all’industrial, altri meno, tutte realtà accomunate dalla sperimentazione sonora mirata all’evoluzione dei linguaggi musicali.
E’ quindi stata una particolare occasione per ascoltare nello stesso posto realtà così diverse come il tecnico Moogulator, l’ambient di Marsen Jules ma anche l’electro di The Hacker (particolarmente sotto i riflettori e noto per i suoi set e per i suoi remix, tra cui quello recentemente realizzato per i Keluar), così come la particolarissima breakcore di End.user (uno dei pupilli di casa Ad Noiseam), i pionieri dell’industrial ritmico Esplendor Geometrico e i celeberrimi alfieri del drum ‘n noise Winterkälte, che qui giocavano in casa, oltre all’ottimo hyDrone, altro produttore di casa Hands Productions (che però non siamo riusciti ad ascoltare) e alla techno industrial del suo altro compagno di label, Cervello Elettronico.
Seppure nessuno di loro stesse presentando un nuovo album, poco importa, perchè i Nostri sono riusciti, ognuno a loro modo, a creare una atmosfera particolarissima in una leggermente piovosa domenica pomeriggio-sera di settembre, mentre lì fuori sembrava non esserci anima viva. Quel che è più importante in queste occasioni, e che differenzia maggiormente l’ascolto casalingo dal festival, è l’atmosfera che indubbiamente si viene a creare, il tempo speso nel merchandise da acquistare, il dialogo con gli artisti e con i label manager, ma soprattutto quella ben percepibile sensazione di hic et nunc che tutti i partecipanti, appassionati di musica e appartenenti ad una sorta di sottocultura realmente underground, sentono. Spazio cupo ed essenziale, impianto di ottimo livello, flusso rumoristico-industriale ed il gioco è fatto: basta poco per creare la situazione più adatta.
Entriamo in sala accompagnati dal suono atmosferico di Marsen Jules, che stava concludendo il suo live, una sensazione piuttosto unica: entrare in quella stanza buia con un impianto particolarmente potente ci fa lasciare alle spalle la “luce” della città, e ci fa immergere in un non-luogo. L’ambient aiuta a far viaggiare la mente ed i pensieri e, subito dopo, Moogulator si dimostra un perfetto tecnico del suono elettronico, manipolando in real time il suono tramite i suoi sintetizzatori analogici, in un particolare spettacolo da ricordare, tra sensazioni ambient e passaggi ritmici sempre più insistenti e tarantolati, che tutti, più o meno vistosamente, dimostrano di apprezzare.
A seguire c’è il progetto Cervello Elettronico di David Christian, che propone un suono techno particolarmente cupo, mostrando come, in certi frangenti, il confine tra la musica techno e quella post-industrial si sia sfaldato sempre più. L’artista osserva compiaciuto la risposta del pubblico, e tra visual e atmosfere extraterrestri, il suo suono fa ballare tutti i partecipanti, tra gli applausi del pubblico. E’ interessante notare come inserire un genere all’interno di un contesto differente ne muti completamente le modalità di fruizione, ed è questo il caso di Cervello Elettronico: la musica techno-industrial diventa musica da ascolto anzichè da ballo sfrenato, ed il battito delle mani alla fine di ogni brano è un trademark che si è troppo spesso perso nell’ambiente puramente danzereccio.
Il suono comincia ad inasprirsi con End.user, mucisita dedito ad una breakcore basata su continue tensioni e distensioni, ritmiche distorte più o meno veloci (sporadicamente spinte fino all’hardcore più influenzato dal breakbeat) ma anche passaggi più umani che recuperano la dimensione afroamericana del ritmo, in un perfetto bilanciamento che non stanca affatto, e non bastano due problemi con l’audio a scalfire una performance particolarmente coinvolgente e molto sentita.
Arriva il turno dei padroni di casa, i Winterkälte di Udo Wiessmann ed Eric De Vries, che regalano uno show basato su visuals parzialmente debitori del lavoro dei Kraftwerk e che trasmettono una energia incredibile, grazie all’estrema sinergia tra Udo ed Eric che sembrano, come sempre, divertirsi particolarmente sul palco, mentre il pubblico subisce tempeste di distorted beats condite da costanti scariche noise. Le ritmiche distorte fanno muovere un po’ tutti, e la sensazione generale è di trovarsi nel momento giusto e nel posto giusto: annichilenti e cacofonici, il duo è la perfetta riproposizione musicale del loro territorio: il suono delle industrie e il focus sull’energia pulita e sull’industria musicale (immancabile l’esecuzione della lunghissima Do note vote for industry!). In generale, la loro musica rappresenta il sinonimo della civiltà post-industriale: lunghissime suite ridondanti che immergono l’ascoltatore in un contesto apocalittico, tanto da arrivare a perdere il contatto con la realtà e diventare un tutt’uno con la macchina che produce ritmi e suoni. E’ il punto più alto e la massima rappresentazione di una sottocultura viva e pulsante che si muove tra quei cupi e freddi territori.
Il penultimo act è il duo Esplendor Geometrico, veri pionieri del suono poi sviluppato da realtà come Dive, Sonar e, ovviamente Udo ed Eric, coi quali i nostri condivisero il palco già pochissimi giorni prima. Autori di una performance particolarmente varia, che affronta il ritmo ossessivo da più punti di vista, presentandolo in forma più alienante o più umana a seconda del brano, si distinguono per i particolarissimi vocals, così debitori di quanto teorizzato da Marinetti nel Manifesto del Futurismo, dalla quale avanguardia i Nostri traggono il loro nome. I vocals assomigliano molto al concetto di parolibere, un insieme di suoni emessi apparentemente casualmente, il cui incontro mira all’ottenimento di una nuova forma di dialogo espressivo e di significato. Vera e propria band, i due riescono a coinvolgere particolarmente i presenti.
The Hacker, Michel Amato, è l’ultimo a suonare in questo festival cominciato alle 15 e terminato alle 23.30 circa. Uno tra i personaggi più noti del momento, il francese regala un lungo set di matrice electro sempre più di confine, contraddistinto da una durezza che ricorda certa proto-EBM, facendo ballare tutti i presenti, che nel frattempo avevano cominciato a diradarsi, anche a causa del viaggio che alcuni dei partecipanti avrebbero dovuto effettuare per rientrare nelle loro città.
Il MUK.E 15 si è rivelato un festival davvero vario e particolare, poichè è riuscito a trascendere i generi in maniera perfetta, ma il pubblico ha svolto un ruolo molto importante, dimostrando di avere apprezzato tutte le performance, indipendentemente dal genere proposto. Tra gli appuntamenti più importanti di questi mesi, il MUK.E ci aspetta nel 2016 per una nuova, entusiasmante, performance.