Pubblicato da Alessandro Violante il marzo 5, 2015
Visto che quest’anno compiono cinquant’anni, la storia degli AMM diventa un modo per ripercorrere un pezzo di storia della società europea da molteplici punti di vista. La formazione originaria è composta dal chitarrista Keith Rowe, dal sassofonista Lou Gare, dal batterista Eddie Prévost e dal bassista Lawrence Sheaff. L’ingresso di un compositore come Cornelius Cardew, assistente di Stockhausen, è l’evento che trasporta il progetto in territori non previsti dai loro fondatori.
La radio che annuncia “non possiamo preservare la musica normale” alla fine di Aliantus glandulosa, tratta dal disco d’esordio, diventa involontariamente il manifesto di un modo di fare musica in contrapposizione allo statuto del disco o della registrazione. Nelle note lineari di The crypt, secondo disco del gruppo, Cardew ammonisce gli ascoltatori sul fatto che “ciò che la registrazione produce sia un fenomeno separato, molto più strano del suonare come concetto, dato che ciò che si ascolta è quello che si è suonato, ma separato dal suo contesto naturale. Qual’è l’importanza di questo contesto naturale?”.
A questa domanda, in una storia che riporta separazioni, riunioni e formazioni variabili, i loro componenti rispondono con una storia artistica basata su alcuni concetti fondamentali. Primo fra tutti, i loro lavori sono documenti di improvvisazioni e non c’è mai nulla di ripetuto o provato. In una nota intervista, Keith Rowe sosteneva che gli AMM “si sono mantenuti al di fuori dal concetto di repertorio” e, in un’altra, che “fossero la cosa più vicina alla musica classica”, dato che erano una forma sonora in continuo sviluppo, mentre Eddie Prévost continua a effettuare dei workshop d’improvvisazione, sottolineando come la pratica, più che una forma artistica, sia una forma di socializzazione da preservare.
Da questo punto di vista, non è difficile immaginare i motivi alla base della prima rottura in due tronconi all’inizio degli anni ’70 per via dell’adesione al maoismo di Rowe e Cardew e rimarginata alla fine di quegli anni, e la seconda dovuta al alcune posizioni recenti di Rowe circa l’approccio al suono che dura tuttora nel gruppo, dalla concezione della partitura grafica di Treatise da parte di Cardew con l’aiuto pratico di Rowe, quest’ultimo di f0rmazione pittorica, all’ideazione della Scratch Orchestra, dall’ideazione della Matchless Recordings da parte di Prévost o dell’ensemble Mimeo da parte di Rowe o dall’ingresso, nella formazione che cristallizzerà il suono del gruppo in ciò che verrà definito come EAI (ovvero Improvvisazione elettroacustica), di un pianista classico come John Tilbury, con la giustificazione, che varrà per molti dei musicisti che collaboreranno col gruppo, che fosse necessario qualcuno che non avesse la formazione da jazzista, ma che portasse qualcosa di diverso nel suono.
La qualità fondamentale di questo progetto è stata la creazione di un suono che potesse superare la distinzione fra strumenti solisti ed accompagnatori. In questo modo, lo spettro sonoro diventa una tela che può essere colorata da tutti senza distinzioni di sorta, e diventa volutamente un manifesto politico oltre che estetico.
Scritto da Andrea Piran