Intervista a Cut hands (William Bennett / Whitehouse)

Pubblicato da Alessandro Violante il dicembre 18, 2014

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William Bennett è uno dei pionieri della materia industriale, il più estremo e intransigente, attivo sin dal 1980 come Whitehouse, il progetto più sperimentale e, allo stesso tempo, più disturbante del panorama di quegli anni (e che ha fatto scuola e continua a farne). Il genere coniato per esprimere la sua musica è power electronics, di cui lui ne è il padre. Siamo riusciti a parlare con lui del suo progetto Cut hands in occasione dell’uscita del nuovo album Festival of the dead. Parliamone quindi col diretto interessato, buona lettura.

Parliamo un po’ della genesi del progetto Cut hands. Quando ti sei appassionato ai suoni afro/tribali?

E’ successo dopo aver scoperto dei veri musicisti voodoo e quali tipi di livelli di intensità e di complessità potessero essere raggiunti attraverso la loro musica, e anche senza l’aiuto di una qualsiasi tecnologia moderna. C’è una tendenza a chiamare “tribale” tutto quello che scaturisce dalla percussione manuale, ma non è così. Non è neanche una cosa che mi interessa decostruire oltre quell’intento, non è raggiungibile neanche se lo avessi voluto fare, molti seri accademici musicali hanno già fallito!

Cosa simboleggiano le cover artwork di Cut hands, mi riferisco specialmente a quella del tuo ultimo album? Chi le realizza?

Sono immagini originali realizzate dall’artista del New England Mimsy DeBlois, queste contengono tutti i tipi di riferimenti mistici rilevanti ai fini della musica, comunque non è qualcosa di facilmente spiegabile in poche parole. Sono fiducioso del fatto che le persone possano percepire comunque il loro significato.

Il tuo ultimo album (e gli album di Cut hands) possono essere considerati una sorta di prosecuzione della musica che hai realizzato con il tuo progetto principale, Whitehouse? Se sì, in che modo?

Penso che sia stato un processo abbastanza naturale e un processo senza soluzione di continuità, sì. Il periodo del crossover fu abbastanza lungo. La differenza principale è l’assenza di elementi vocali, sebbene abbia tenuto in considerazione l’introduzione di qualche elemento di questo tipo, non miei sebbene mi sia affrettato ad aggiungerli.

Pensando al passato per un momento, cosa è cambiato, se consideri te stesso, in una accezione generale, un artista industrial, nella musica industrial a partire dai suoi primordi? Dimmi il tuo punto di vista personale.

Onestamente trovo difficile guardare indietro e elencare le cose in maniera retrospettiva trovandogli un qualunque senso, al contrario trovo troppo semplice pensare che le cose siano predeterminate. Ora tutto sembra che si stia parlando di un tempo molto lontano.

Se qualcuno ti chiedesse di parlarne, come definiresti il concept “Afro noise”?

Non c’è un concept come tale. Attualmente, Cut hands ebbe origine come un DJ project (come “DJ Cut Hands”) e evolvette a partire dal momento in cui realizzai un mix underground sperimentale chiamato “Afro noise”. E’ stato esattamente il prodotto della percussione haitiana e africana mescolata con vari rumori con cui stavo lavorando in quel tempo. Il mix divenne davvero popolare e questo mi incoraggiò a realizzare una mia propria musica di quel tipo a partire da quel prodotto.

Come consideri le scene attuali noise / power electronics e powernoise? Esiste un qualche tipo di relazione tra la prima (noise music / power electronics) e le uscite della Ant zen / HANDS?

Commentare le distinzioni tra i generi non fa per me. O, al massimo, questi termini e distinzioni non esistevano quando la musica cominciò ad essere creata. E quindi, improvvisamente, non sono sicuro di quando il noise divenne questa incredibilmente stretta definizione conformista.

Recentemente, Alexander Reed ha scritto un libro sulla musica industriale veramente ben realizzato (Assimilate: a critical history of industrial music). Lì si discute anche della relazione tra la musica industriale e le arti performative / visuali. Se c’è, qual’è, come artista, il tuo rapporto con le forme d’arte in generale? Hai mai realizzato opere d’arte di un qualche tipo relative ai progetti Whitehouse / Cut hands? Dimmi il tuo punto di vista a proposito di questa relazione.

Non ho letto o sentito parlare di questo libro e, di conseguenza, non posso commentarne il significato.

Sei stato un grande provocatore lungo tutta la tua carriera musicale. La musica industrial provoca ancora? Oggigiorno, quali sono le armi a disposizione degli artisti e dei musicisti? La musica noise è, in sè stessa, un’arma?

La cosa che alle volte le persone trovano difficile da comprendere è che lo scopo dell’industrial non è mai stato provocare. Questo non vuol dire che questo non possa essere il risultato finale, ma è vero a proposito di tante cose. E’ stato sempre qualcosa di più di un mezzo di disinibizione dell’espressione personale nelle cose che mi capita di conoscere. La nozione di disponibilità di “armi” non è rilevante in questo senso.

Quali sono i tuoi progetti attuali / futuri?

Il mio progetto principale è solo quello di rimanere vivo! Dal punto di vista musicale, mi sto concentrando principalmente sui remix e sulla produzione musicale.

Stai pianificando di tenere alcuni concerti in Italia per promuovere il tuo nuovo album? Ti piace la dimensione live? Come risponde la gente alla tua musica?

Dopo aver controllato il calendario, sono abbastanza sicuro del fatto che, all’inizio del 2015, ci siano alcuni concerti in programma in Italia. Io cerco sempre di venire a suonare lì, amo molto il rapporto delle persone con la musica e con l’arte, lo amo.

Ti ringrazio per il tuo tempo e per la tua disponibilità. Saluta i lettori di FLUX e invitali ad acquistare il tuo ultimo album.

Grazie anche a voi, è sempre un piacere