Pubblicato da Alessandro Violante il dicembre 16, 2014
Ebbene sì: vi parliamo di un artista italiano che, con la musica elettronica, ci sa decisamente fare: si tratta (ma è molto meglio), di un fedele seguace della lezione dell’IDM da cameretta presa in prestito dai colleghi della Warp records e, il paragone è ovvio, da Aphex twin (non quello di SYRO). E’ piacevole ascoltare come Anacleto Vitolo a.k.a Av-k, con Fracture, titolo azzeccatissimo, sia riuscito laddove artisti come Richard D. James, negli ultimi anni, abbiano fallito: dopo avere acquisito la lezione dei suoi primi album fondamentali e dopo avere imparato a memoria i classici del genere (e, probabilmente, anche a seguito della comprensione della lezione tedesca), ha confezionato un album fresco, che non suona troppo derivativo, all’inglese ma non troppo, che riesce a mostrare una grande qualità e quantità di registri stilistici che, a loro volta, affondano a piene mani nel maelstrom elettronico, soprattutto quello degli anni ’90.
Si parlava di sound inglese: sì, perchè il gusto per l’ambient, le bassline leggere, la cassa mai troppo in evidenza, elemento sempre in sordina, i glitch cercati e trovati e una certa sensazione generale di sospensione in un vuoto creato elettronicamente from scratch senza la benchè minima attenzione per la fisicità del risultato sono elementi che, insieme, caratterizzano un trademark stilistico che affonda nel 1992, anno della compilation Artificial intelligence, che tutti gli appassionati di questa declinazione elettronica conoscono. Poi, a partire da lì, la storia del genere la conoscete tutti.
Partendo da queste premesse, parliamo di questi sette brani: l’opener è un tributo, già dal titolo, alla intelligent dance music più contaminata dai glitch e, ma in modo positivo, studiata a tavolino: Prx_dlt è un brano chirurgico che, nella ritmica sottostante, va a riprendere il ritmo afroamericano, come in un lento e ipnotico rituale elettronico sul quale si staglia un freddo giro di distorsioni che compongono la struttura superficiale. Dopo questo rituale per macchine (per citare gli altrettanto italiani Aborym, with no human intervention), la inequivocabile 2, tra tribalismi astratti, un’aria vagamente dark ambient, ritmi squadrati, glitch utilizzati a mo di sezione melodica e suoni vari ed eventuali, si muove in una sorta di mid tempo dai molteplici livelli di ascolto. Una distorsione, approssimativamente dalla seconda parte del brano, ne regge la debole struttura. Segue la lunga title track che parte laddove si chiude il precedente brano e che ripropone un panorama ambient sporcato da una folta nebbia nel cui sottobosco fanno la comparsa esili breakbeat in background.
Drag è un altro episodio fortemente IDM in cui varie ritmiche si intrecciano tra loro, in particolar modo due: quella breakbeat, qui molto più insistente che in precedenza e quella techno, veloce e indolore, che ha l’unico scopo di non far affogare il break nella suddetta nebbia, ma che comunque crea un effetto continuativo e, termine da prendere con le pinze, solido, il tutto sparato ad alta velocità. Anche qui, non ci si faccia ingannare, lo scopo è giocare coi suoni e non usarli per far male. Più che un’arma, un ottimo esperimento manieristico.
Entriamo nella seconda parte dell’album con uno dei brani più interessanti dell’album (non che gli altri non lo siano), We. Qui è ancora una ambient fosca a fare da padrona e che pian piano lascia spazio ad un breakbeat glaciale, sintetico e dalla resa artificiosa che si insinua sempre più prepotentemente, un brano che ha molto dell’Aphex twin dei tempi andati. Si prosegue con un altro episodio in mid tempo spezzato come Morph. Anche qui il ritmo si fa intricato ma non troppo, prevaricando sul substrato ambient di fondo. Chiude la lunghissima suite ambient 1114 che, ancora una volta, si ciba del sound di Richard D. James reinterpretandolo in una chiave personale. Qui, col proseguire del lungo brano, una pioggia di sottilissimo breakbeat fa la sua comparsa senza mai intaccare l’atmosfera retro che si crea, ma contribuendo a movimentare la situazione. Qui monoliticità ed algida atmosfera sono gli elementi chiave del brano.
Fracture di Anacleto Vitolo, con il suo pseudonimo Av-k, è un album che riesce ad emergere nel panorama elettronico italiano e che riesce a presentarsi in maniera egregia anche all’estero. Un risultato interessante per un musicista poliedrico di cui si parlerà ampiamente in futuro.
Label: Manyfeetunder / Concrete
Voto: 8, 5