Pubblicato da Alessandro Violante il dicembre 10, 2014
Non stupitevi se non lo avete mai sentito nominare: alla Werkstatt recordings sono molto bravi a cercare nuovi talenti. L’act greco Geometry combat ha stupito sin dai primi brani che hanno anticipato la release: un approccio minimalista e dark alla materia EBM forse talvolta un po’ esagerato e stucchevole, ma non per chi rimpiange alcuni act storici dark electro di cult label come la Celtic circle productions o la Khazad-dum. La differenza rispetto a questi ultimi sta nel fatto che il qui presente non nega mai la sua passione per la wave più fredda e per il cantato stentorio di chi si fa cantore di oscurità e di guerra, morte, religione e malattia.
Il qui presente dimostra di aver studiato l’EBM classica e diretta e di averne assimilato il cuore pulsante e, allo stesso tempo, di conoscere altrettanto bene la wave. Questo si traduce in una certa varietà di brani che rendono il disco un debutto interessante e non troppo derivativo, originale e sincero. Killing movement prende le mosse dalla vecchia scuola dell’EBM presentando una ritmica sostenuta, un cantato solenne e wave da cantore incappucciato di una società rovinata dagli omicidi e dalle malattie, il tutto inserito in un mood oscuro, quasi da magia nera. Si tratta di un brano onesto le cui strutture sonore sono costruite a dovere e riecheggiano alcune cose dei Frontline assembly di fine anni ’80, anche se certamente meno originali. Il mood mortifero è già ben visibile dall’artwork ad opera di Jan Vinoelst, con la morte in attesa di compiere il suo lavoro (o forse lo ha già compiuto) in un luogo freddo, grigio e vuoto.
Si prosegue con Silent god, un altro episodio simile al precedente che, però, aggiunge un oscuro stacco melodico di synth che rende l’atmosfera del brano ancora più malvagia e mistica. Qui il personaggio principale è una divinità silenziosa, colpevole di essere assente nei confronti di chi aspetta il suo intervento e di lasciare a piedi i suoi fedeli servitori. Si tratta di un brano di condanna piuttosto prevedibile (ma solo nelle liriche), che aumenta sensibilmente la sfera dei clichè ma che, musicalmente, è un validissimo brano. Darkest sins accelera i ritmi in una sfuriata EBM misto wave che, se lascia scorrere la drum machine al fulmicotone, ci costruisce sopra una trama sintetica complessa dal sapore coldwave, su cui, appunto, si innesta il cantato del nostro. Un brano ibrido il cui tema principale è una sequela dei peccati più oscuri, sempre nell’ottica di un lavoro mistico e malsano.
Deadly armour ceremony è un altro episodio sostenuto ma non velocissimo in cui le melodie oscure e tenebrose prendono il sopravvento sull’andamento in 4 / 4. Si tratta di un altro episodio che critica il divino, stavolta mirato ad accusare la sua figura di portatore di guerra e di distruzione. Il mood da cerimoniale oscuro viene ulteriormente amplificato nella successiva, lunga e atipica Teeth of steel grasp at the barriers of humanity, un brano wave che procede lentamente a partire da un ritmo lento e cadenzato in cui pian piano si inseriscono accordi sporadici fino al culmine del brano che, quando rallenta, ci catapulta all’interno di un rituale oscuro in atto, sormontato e ben esplicitato, qualora ce ne fosse un ulteriore bisogno, da un giro di synth diabolico/mistico.
Subito gli fa da contraltare il brano più immediato e diretto dell’album, Body hammer, EBM pura e semplice scandita da un rapidissimo ritmo in 4 / 4 scevro da qualsiasi architettura di nuova generazione in cui le rapide strofe declamate dal nostro lasciano il posto al solito giro melodico oscuro da viaggio negli abissi. Un episodio che farà godere di gioia tutti coloro a cui mancano queste sonorità dirette e aggressive.
Tanz der schatten è l’unico brano cantato in tedesco e la title track è assimilabile ai primissimi brani, caratterizzato qui da un mid tempo ricco di atmosfere misticheggianti e di influenze wave e così anche la più sostenuta Striding command, che si libera dall’alone wave e che ne mantiene unicamente l’inflessione vocale. Chiude il lavoro l’outro Sanctum hex, un mid tempo strumentale giocato su un inserto ansiogeno debitore della visione di un film come Psycho, ma, per ovvie ragioni, estremamente semplificato.
Il rituale è compiuto, la divinità smascherata, il declino sociale analizzato con morbosa attenzione e il cantore incappucciato è pronto a ripartire verso nuove strade.
Quello che rimane, tra questi solchi, è un lavoro che non pecca mai di monoliticità e che, seppure abbia ancora molto da migliorare, ha un futuro roseo, o sarebbe meglio dire grigio, davanti. Nove brani che sono, più che altro, nove idee sviluppabili ancor meglio, molto meglio, che da bozze potranno, in breve tempo, diventare qualcosa di più. Ciò che importa è che Tanz der schatten (danza delle ombre) di Geometry combat è un lavoro, seppur sicuramente derivativo, fondamentalmente nuovo, che dimostra quanto il minimalismo sia potenzialmente ricco di sfaccettature e di sviluppi. Una nuova generazione di artisti è pronta al nuovo assalto elettronico. La differenza, nei prossimi anni, la faranno loro. Quel che è importante è che questi dischi non rimangano nel dimenticatoio, che vengano promossi a dovere e che vengano ascoltati ai piani più alti del genere, che le loro novità vengano colte da chi promuove gli artisti di punta odierni. Buona fortuna!
Label: Werkstatt recordings
Voto: 8