Pubblicato da Alessandro Violante il luglio 26, 2014
Non bisogna necessariamente immaginare set di film sci-fi come 2013: La fortezza. Basta pensare all’altra faccia di Milano, nello specifico della Brianza, che si esprime in questi sette opprimenti brani di dark ambient. La Milano industriale si esprime con toni ripetitivi e claustrofobici, per così dire alienanti, tra i lunghi viali deserti della città e i suoni/rumori delle sue fabbriche, dei fischi dei treni, dello squillare di sirene e telefoni, del traffico, del ferro battuto, degli ingranaggi che avanzano senza sosta nella speed city, lo diceva anche Martin Damm, anche se distante anni luce da questa proposta. Sì, se non fosse che qui non si tratta di suoni off, ma di quello che si agita all’interno dell’artista, Federico Eugenio Cesana in arte Lost technology in collaborazione con Utter sense of death, che vive la sua quotidianità minacciata dalla patologia. Sembrerà così anche a voi, magari nelle vostre spiagge distanti dalla realtà metropolitana, di sentire riecheggiare l’avvilente suono della macchina, meccanica, che regola il funzionamento dei nostri corpi. I battiti non strizzano l’occhio al ballabile, non confondeteli facendo facili paragoni. Le distorsioni disumane della rivisitazione di Ungodly hymns (Utter sense of death reinterpretation) sentenziano il ritmo ossessivo della macchina e del corpo. Musica per i corpi quindi? No, non è neanche questo, non ne è la sede. E’ il lato oscuro dell’anima di ciascuno di noi. Forse Red shadows, black smoke è l’episodio più distensivo dei sette e Ungodly hymns quello più angosciante, in quel suo climax che fa salire alle stelle l’ansia verso livelli sempre più alti man mano che cresce l’incisività dei suoni, degli stessi suoni, ripetuti per nove minuti. At the mountains of madness spezza il ritmo e ci spinge mentalmente verso l’Overlook hotel di Shining, una perfetta colonna sonora per la mente di Jack Nicholson vicino all’orlo del collasso mentale. Ci pensa Doomed, con il suo attacco lento, a smorzare l’attenzione e a farci respirare di nuovo. Dopo un’apnea che sembra non finire mai, un suono molto simile a quello di una campana maledetta di ricorda che il tempo è giunto e che è ora di rischiacciare play per rientrare in quei luoghi e per rivivere un’esperienza forte, molto forte, ma che tutto sommato piace, perchè ciascuno di noi vive dentro di sè un po’ croce e delizia della condizione dell’individuo metropolitano.
Label: RXSTNZ
Voto: 8