Pubblicato da Alessandro Violante il gennaio 8, 2014
Recentemente abbiamo assistito all’ascesa della pratica artistica nota come esperienza di deprivazione sensoriale. Chiediamoci quale sia il suo ruolo nell’Arte Contemporanea degli ultimissimi anni e perchè essa abbia una importanza così rilevante oggi, come testimoniano le recenti esperienze del coreano Kimsooja e dello statunitense James Turrell, già esponente di spicco di Light and space movement, due lavori apparsi, in contesti differenti ma di spicco, di recente. Il primo è stato preso d’assalto durante l’ultima Biennale di Arte Contemporanea Il palazzo enciclopedico mentre l’altro si trova a Villa Panza a Varese all’interno della retrospettiva su di lui e su Robert Irwin.
Da cosa nasce questa tendenza? Come in tutte le forme d’arte l’interrogativo è d’obbligo ma possiamo sempre fornire una spiegazione più o meno plausibile. Ancora una volta ci viene in aiuto una serie di personaggi che ha poggiato le basi per lo sviluppo della nostra storia artistica attuale, e non solo. Certo ci si taccerà di ovvietà, ma repetita iuvant se diciamo che anche qui c’è lo zampino dell’evergreen Marcel Duchamp. Così come egli, durante gli ultimi settant’anni di Storia dell’Arte, si è incarnato in varie forme a seconda dell’interpretazione della sua mastodontica opera d’ingegno, anche stavolta è stato oggetto di una forma di recupero che coniuga la sua personalissima lezione alla scuola psicologica dell’esperimento de-sensoriale.
Laddove per secoli e, soprattutto all’interno dei movimenti Contemporanei, si è posta costante attenzione circa gli sviluppi della sperimentazione sulla sinestesia e sullo studio della potenza del segno, e qui ricordiamo la recente traduzione del classico studio di Gene Youngblood, quell’Expanded cinema che ha riscritto un pezzo di storia, la sua controparte, la deprivazione sensoriale, si pone in antitesi con il dibattito generato e cerca di dimostrare quanto l’eliminazione del senso possa astrarci dal contesto generale, dalla pioggia sensoriale che contraddistingue le nostre vite, e immergerci in una versione 2.0 del concetto debordiano di detournément. Funziona?
Certamente gli studi psicologici a riguardo, tra cui in prima battuta quello del ganzfeld degli anni ’70, sembrano dare ragione a questa soluzione artistica, ebbene c’è sempre qualcosa che non và, c’è sempre un limite invalicabile. Cos’è questo, o questi, limiti?
Potremmo star qui ore a parlarne ma uno tra tutti risiede nella natura museologica del Sistema dell’Arte Contemporanea, il grande Moloch a cui gli artisti devono costantemente pagare tributo. Si sta parlando dell’ennesima reincarnazione del pensiero francofortiano sempre così attuale, quello che trovò nella Scuola di Horkheimer, Adorno e Marcuse i capostipiti di una idea fondata sulla paura del medium come mezzo per raggiungere la comprensione attraverso l’extra.
Non facciamoci raggirare dalle wunderkammer messe in piedi dalle istituzioni museali e dalle manifestazioni istituzionali che altro non sono se non i produttori di un pensiero costruito a tavolino quanto l’ultimo brano dell’icona pop del momento. Cerchiamo di guardare la realtà con un occhio apocalittico e uno integrato, se possiamo.
Il problema, da un punto di vista integrato è che siamo a conoscenza del fatto che l’esperienza antisensoriale non sostituisca la realtà e non ci estranii, al contrario è un volerci mostrare un esperimento alla maniera dei primi corti di Meliés. E’ difficile pensare che siamo ancora a questo punto della questione. Riassumendo in termini sportivi, Debord 1 Evoluzione 0. Il problema del pensiero non risiede nella pioggia semantica, perchè ne siamo investiti tutti i giorni della nostra esistenza, quanto nel fatto che l’Arte Contemporanea non abbia sposato l’eredità della rivoluzione interattivo-immersiva quanto quella esperienziale e distaccata.
Lo scopo degli spazi di deprivazione sensoriale non è quello di aprire le porte della percezione perchè non si esce mai davvero dalla realtà, non se ne ha il tempo materiale. Del resto, Debord prima e Bourriaud poi, con l’elaborazione della teoria dell’estetica relazionale, ha pensato lo spazio come dilatazione concettuale dell’estetica duchampiana trasformando la ruota nello spazio e lo spazio in situazione, quell’isola felice che favorisce il pensiero e che ancora oggi ritroviamo nei già citati Kimsooja e Turrell, tra gli altri.
Che fine hanno fatto le idee dei pionieri della virtual art e dell’esperienza immersiva-interattiva che, da Experiments in arts and technology in poi, passando per la creazione dell’HMD e per una serie di generazioni di artisti digitali, hanno tentato e inventato nuove vie? Cos’è che il Sistema dell’Arte rifiuta? La paura di coloro i quali si mostravano spaventati davanti al totale passaggio all’interno di realtà realmente immersive ed estranianti, comunque ricche, ancor più ricche, di spunti di riflessione e di pensiero, che vedevano in queste manifestazioni una forma di annullamento del pensiero critico? Perchè questo? Siamo ancora ben lontani dalla scoperta di questo mistero, eppure basti pensare che gli studi sulle realtà sinestetiche offrirebbero una moltitudine di sviluppi importanti per la sfera sociale e quella, in seconda battuta, culturale.
Non sta a me giudicare se questo approccio sia giusto o sbagliato, sta ad ognuno di noi e ognuno troverà il suo.