Pubblicato da Alessandro Violante il agosto 27, 2013
Anche noi come Flux vogliamo dedicare un post d’obbligo alla memoria di Paolo Rosa, il regista dell’attività del collettivo milanese Studio Azzurro, recentemente scomparso. Per questo trascrivo in questa sede una intervista e uno speciale scritto dall’autore del post in due diverse occasioni, sempre all’interno dello sviluppo delle sue tesi di laurea triennale e specialistica presso l’Università degli Studi di Teramo.
L’intervista è datata intorno al mese di settembre 2009, mentre l’excursus è stato scritto nell’estate del 2011.
Buona lettura.
In data lunedì 14 settembre 2009 mi sono recato presso gli uffici di Studio Azzurro, situati press0 la Fabbrica del Vapore in via Procaccini a Milano. Ne è scaturito un dibattito col maggiore regista del collettivo, Paolo Rosa. Qui si elencheranno i principali punti di discussione sui quali ci si è concentrati maggiormente, rielaborando compiutamente ciò che ne è emerso.
Ritratto di un artista postmoderno
L’artista moderno non deve sentirsi legato da problemi di scala disciplinare. Al contrario egli deve abbattere le barriere che il Sistema dell’Arte gli pone davanti, abbracciando l’arte e relazionandosi nei confronti di essa a 360°. Nonostante ciò, non si può negare che nel nostro Paese ci sia uno spiccato conservatorismo da parte dell’artista che lo spinge in senso monodirezionale, di fatto frenando la propria volontà di adeguarsi allo sviluppo dell’arte all’interno del tempo nel quale vive. Egli deve, per questo motivo, dedicarsi principalmente nei confronti dell’importanza dell’utilizzo delle tecno-scienze e concentrarsi sulla possibilità di stimolare la sensibilità del fruitore.
L’eredità delle avanguardie
Gli artisti d’avanguardia e in particolar modo in riferimento a coloro i quali agirono all’interno delle prime decadi del novecento, hanno lasciato una grande eredità agli artisti moderni che tuttavia non hanno saputo comprendere e sfruttare. Ci troviamo così di fronte ad una scarsa comprensione dell’arte da parte degli artisti stessi, i quali hanno male assimilato la lezione di tre artisti importantissimi come John Cage, Samuel Beckett e in particolare Marcel Duchamp. Il ruolo che per Duchamp possedeva il mezzo cinematografico, eretto a simbolo della possibilità di totale sperimentazione degli oggetti del mondo, deve essere oggetto del video il quale a sua volta deve essere concepito come il mezzo attraverso il quale è possibile sperimentare in tutte le direzioni. Oggi viviamo in un’epoca composta per la maggior parte da ottimi artigiani ma da pochi artisti considerabili come realmente innovatori.
Il mezzo cinematografico secondo Studio Azzurro
La realizzazione de Il mnemonista fece comprendere al gruppo due cose. La prima riguarda la distribuzione, riguardo al fatto che talvolta le case di produzione cinematografica possono essere un’ottima base sulla quale costruire il successo di un film. Del resto il gruppo si rese presto conto del fatto che il cinema, soprattutto in Italia, non è aperto ad una sperimentazione di questo tipo. Esso è troppo fortemente vincolato alle regole dettate dall’Istituzione Cinematografica, e questo è il motivo principale per cui tali progetti furono abbandonati dal gruppo stesso, di fatto muovendosi in direzioni differenti. Tuttavia esiste un mezzo di rapida diffusione del cinema sperimentale sul suolo italiano, e si tratta della rete Internet. Attraverso questo strumento, considerato oggi il principale mezzo di comunicazione di massa, è possibile presentare i propri prodotti sperimentali nella speranza di ottenere buoni riscontri.
Il ruolo dell’arte per i contemporanei
Il gruppo ha una grande considerazione degli spettatori e non ha la presunzione di credere che il fallimento della sperimentazione in Italia sia riconducibile al loro modo di porsi nei confronti delle opere d’arte. Ciò che in Italia rende difficile lo sviluppo sperimentale è la scarsa mancanza di fondi e in generale la scarsissima attenzione dimostrata da parte delle istituzioni nei riguardi del settore artistico. Il campo giudicato maggiormente fruttuoso è quello museale in quanto il rapporto tra arte e territorio può costituire un ulteriore incentivo da parte dei fruitori a sentirsi parte delle opere stesse, attraverso un coinvolgimento sempre più attivo e diretto.
Segue l’excursus sul collettivo
Studio Azzurro è un collettivo fondato a Milano nel 1982 da Leonardo Sangiorgi, Fabio Cirifino, Paolo Rosa e, in seguito, completato da Stefano Roveda, sulle ceneri del fu Laboratorio di Comunicazione Militante. La particolarità del progetto sta nella sua varietà realizzativa e nel cambiamento di orientamento stilistico attraversato lungo decadi molto diverse come gli anni ’80, gli anni ’90, e i 2000. Nonostante ciò, è possibile percepire una linea rossa che collega tutti i loro lavori, derivante dalla contestazione all’interno della quale trova origine la loro sperimentazione, posta a metà tra il cinema sperimentale e quello di derivazione neoavanguardista, il video documentaristico, e, successivamente, la ricreazione di spazi e la creazione ex novo di ambienti sensibili. La loro ricerca della novità li porta a confrontarsi con tematiche importanti quali il ruolo occupato dal video nella nostra quotidianità ed il connubio tra l’elemento processuale e quello immersivo, rendendoli un caso particolare sul territorio italiano.
Il clima italiano degli anni ’80 è ancora quello del video di documentazione di derivazione Raindance, orientato al concetto di guerrilla television, e i tre milanesi, in particolar modo il regista del gruppo, Paolo Rosa, realizzano Facce di festa (ITA, 1980, movie, color, sound), un prodotto collocabile tra la tendenza del video di protesta ed il formato del film documentario. Questa ibridazione inaugura una carriera basata sulla coesistenza di diversi linguaggi artistici, mettendo in luce personalità di larghissime vedute. Il collettivo dimostra di assorbire la lezione della video art statunitense degli anni ’69 – ’80, allo stesso modo della sperimentazione cinematografica della neoavanguardia degli anni ’60, ma anche delle opere di Marcel Duchamp. La loro critica di una società in rapida evoluzione, fortemente influenzata e mutata dalla digitalizzazione dell’arte, ma soprattutto dalla parallela destrutturazione individuale e dalla delocalizzazione frutto del post modernismo che trova negli anni ’80 l’emblema del cambiamento nel nostro paese, si riflette in Lato D. (ITA, 1983, movie, color, sound), al centro del quale sta la vita di un artista video disadattato, influenzato da personalità come Lou Reed e i Velvet Underground, un giovane a contatto con la droga per scelta ma, soprattutto, per spirito di emulazione. Le musiche sono appartenenti al gruppo stesso.
L’osservatorio nucleare del Dr. Nanof (ITA, 1985, movie, color, sound) sposta le coordinate tematiche ma non l’attenzione sul punto di vista dell’individuo particolare e ossessionato dalla sua condizione post moderna, proiettata nella scrittura notturna di frasi, secondo le regole di un alfabeto personale. Ciò che emerge è la crisi della modernità e dell’uomo moderno, comune a tutti i lavori cinematografici del gruppo. La variabile Felsen (ITA, 1988, movie, color, sound) presenta un impiegato affascinato dalle dinamiche temporali e dalla possibilità della loro modificazione, allo scopo di creare un evento inaspettato, consistente in quel che avviene con la morte dell’automobilista impegnato nel percorrere un identico tratto di strada alla medesima velocità, in quanto egli non si trova alla guida della sua automobile. Anche in questo caso l’impiegato rispecchia una figura di individuo borderline. Nel più recente Il mnemonista (ITA, 2000, movie, color, sound), prodotto e distribuito da Mikado, il soggetto della narrazione diventa un individuo che non può non ricordare tutto ciò che ha caratterizzato ogni singolo giorno della sua vita, e questa motivazione costituisce la causa della sua pazzia. In seguito si esibisce come fenomeno da piazza, ma non riesce a non sentire il peso della gente e dei loro commenti sgradevoli, né tantomeno la sua condizione ossessionante. Secondo le dichiarazioni di Rosa, questo rappresenta il loro ultimo lavoro cinematografico.
Al di fuori della sperimentazione in questo territorio, il gruppo è tra i primi innovatori del linguaggio della video art in Italia, muovendosi dal videotape fino alla creazione, a partire dal 1995, di spazi da loro chiamati ambienti sensibili, costituenti un fenomeno atipico di fusione tra processo e fruizione immersiva. Questa ricerca fa di loro un caso unico nel nostro paese, nel quale la guerriglia televisiva costituisce ancora oggi la direzione maggiormente intrapresa dai video artisti. Tra i loro principali lavori del primo periodo di attività, Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg) (ITA, 1984, video installation, color, sound) è una video installazione basata sull’affiancamento di più monitor contigui e rappresentanti il percorso svolto da un nuotatore durante l’esecuzione di una vasca. Inizialmente, essa viene ospitata a Venezia presso Palazzo Fortuny, in quanto l’elemento acquatico e lo spazio azzurro sono determinanti. La camera astratta (ITA, 1982, video theater, color, sound), realizzata insieme al coreografo Giorgio Barberio Corsetti, è una opera di video teatro, una forma di sperimentazione che, negli anni, conosce scarso successo in quanto legata in misura maggiore ai primi anni di sviluppo del mezzo, ma approdata in Italia per volontà del collettivo milanese solo nei primi anni ’80.
Il sodalizio tra le figure professionali e Corsetti è prolifico, e li porta a realizzare altre opere sulla stessa tematica. Il 1995 inaugura, con Tavoli (ITA, 1995, interactive video environment, color, sound), lo spostamento verso l’applicazione degli studi sull’immersione all’interno delle video installazioni, due campi tuttora considerati separati dalla maggior parte degli artisti della video art. Il concetto di ambiente sensibile si sviluppa sulla base di quanto effettuato pochi anni prima all’interno delle grandi istituzioni tecnologiche americane come il MIT – Massachussets Institute of Technology, cercando di esportare sul suolo italiano le prime ricerche sul ruolo dell’interfaccia grafica, allo scopo di abbattere le barriere tra spettatore ed opera, attraverso l’utilizzo di meccanismi di interazione sonora e tattile, rendendola, se è possibile affermarlo, potenzialmente modificabile, seppure non strutturalmente. Il lavoro si basa sull’attivazione di suoni, emessi dai tavoli nel momento del loro contatto da parte dei fruitori, offrendo un senso di cooperazione ed immergendoli nell’esperienza spaziale della video installazione.
Il collettivo si focalizza sulla generazione degli eventi a partire da un pubblico chiamato a partecipare all’atto della fruizione, e questo segna un passo avanti importante nella ricerca italiana sull’argomento, spesso non apprezzata o mal comunicata. E’ indubbio come i paesi orientali e statunitensi, segnati da una lunga tradizione di questo genere, si rivelano negli anni interessati alla produzione del collettivo.
Totale della battaglia (ITA, 1996, interactive video environment, color, sound) riprende l’idea del lavoro precedente e lo traspone all’interno di una serie di video installazioni che ricordano alcune realizzazioni di Pipilotti Rist e di Bill Viola, con la differenza che, in questa sede, è richiesta l’interazione dell’utente con le video proiezioni, le quali vengono attivate dalla voce dei presenti. La pozzanghera (ITA, 2007, interactive video environment, color, sound) sposta l’attenzione verso la tematica infantile, proponendo ai bambini la possibilità di animare una pozzanghera digitale tramite il contatto tra i piedi ed il materiale di proiezione. Uno dei loro lavori più recenti, Il tredicesimo testimone (ITA, 2010, interactive video environment, color, sound), affronta una tematica artistico – religiosa, proponendo la lettura e l’esplorazione dell’Ultima cena (1494-1498) di Leonardo Da Vinci, fruibile all’interno di un clima immersivo e contemplativo.